Marina De Panfilis
LA STRADA DEL RITORNO
Tecnica di stampa: Transfer su cemento armato.
La strada del ritorno e la strada che tutti noi attraversiamo quando ci spostiamo verso luoghi a noi familiari: proprio come “la strada che porta a casa”.
Questo spazio e fatto di case basse e ringhiere in ferro che mi proteggono dalle strade asfaltate, il ponte sul fiume che riflette il cielo limpido delle montagne e il verde che cresce intorno e, sullo sfondo, la montagna che si affaccia sempre piu prorompente dinnanzi al mio cammino… tutti elementi oggettivamente stabili ma che assumono una forma soggettiva e simbolica che si fonda sulla base delle proprie memorie, sulle sensazioni ed emozioni del proprio vissuto: un luogo di memoria non e solo un luogo fisico ma si sostanzia anche di dati materiali e simbolici e richiama il ricordo di eventi o figure. La mia “Strada del Ritorno” a casa ha un forte valore affettivo: percorrevo questa strada in compagnia di Giulia, mia cara amica e vicina di casa, che poco tempo fa ha lasciato questa terra dopo una breve, grave malattia.
Da quando Giulia e andata via, percorro questa strada e mi ritrovo a spaziare con la mente in piu luoghi dove abbiamo vissuto insieme, nel ricordo dei nostri progetti organizzati mentre percorrevamo insieme “La strada del ritorno”. Tutto intorno scompare. Il ricordo e cosi vivo che mi sembra di essere ancora li, in quei luoghi, insieme a Giulia. “L’uomo e sempre presso un luogo anche quando vi e lontano fisicamente, perché non c’e un rapporto esclusivamente rappresentativo”. Giulia ha lasciato un vuoto che si e trasformato in una sensazione viscerale, riempiendosi della sua essenza, dei nostri viaggi, delle giornate a scuola, di ricordi che ho trasformato in immagini creando dei contro ricordi. La fotografia e un contro ricordo perché il ricordo è un lavoro della mente mentre la fotografia ci pone davanti agli occhi quello che e stato. Ho materializzato queste immagini di pensiero imprimendole su mattonelle, una sorta di pietre d’inciampo, a comporre il percorso urbano, in un ricordo che torna sempre sotto forma di sensazione viscerale. Quello a cui assistiamo e un percorso da attraversare fisicamente tra le immagini, una flanerie che ci permette di entrare fisicamente a far parte dell’opera, tra foto provenienti dal mio archivio e fotografie scattate oggi. Esse hanno lo scopo di fissare momenti dei quali non dispongo immagini ma che voglio ricordare per sempre. L’utilizzo di un materiale come il cemento armato inoltre rende le fotografie non deperibili e destinate a vivere nel tempo.
Dedicato a Giulia Fontana, continuo a portarti dentro in ogni mio passo.
Alcuni riferimenti testuali tratti da: “Per una prima ricerca a partire dall’Opera d’Arte come azione da compiere, evento del camminare, raccolta di dati sociali, esperienze geografiche, per creare sistemi di stratificazione e conservazione della memoria dell’umanità” di Valeriana Berchicci e Virginia Luzi.

Simona Papapicco
OGGI 25 NOVEMBRE



Oggi 25 novembre 2025, non è una giornata qualunque ma è la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Oggi sono state inaugurate le panchine rosse. Le panchine che noi vediamo in giro sono state progettate da persone che si vogliono ribellare: centri antiviolenza, scuole, ma anche ragazzi tramite progetti extrascolastici. Creandole si spera sempre in un piccolo cambiamento.
Penso che sia molto importante far conoscere ai ragazzi questi progetti perchè si scoprono sempre cose nuove, ci si può scambiare dei pareri e magari sentire dal vivo delle testimonianze della violenza subita. La violenza può manifestarsi in diverse forme, tra cui quella fisica e quella psicologica. La violenza fisica consiste in un’aggressione al corpo come pugni, calci e schiaffi. Mentre quella psicologica consiste in un linguaggio offensivo verso l’altra persona come insulti, minacce, manipolazioni e isolamento.
Sono morte tante donne per aver espresso la loro opinione, per essere state minacciate verbalmente, per essere state inseguite non tornando più a casa. Si spera sempre di migliorare facendo atti di protesta. Ma purtroppo c’è gente che la pensa diversamente. Ragazzini che sentendo in televisione le storie accadute pensano che le donne abbiano troppi diritti e che non ci sia bisogno di ribellarsi. Ma è tutto il contrario: se noi donne oggi possiamo votare e abbiamo dei diritti, è grazie a chi si è ribellato per noi tempo fa e noi adesso dobbiamo continuare a lottare finché non saremo ascoltate.
Anche perché, molti femminicidi che sono accaduti recentemente, sono stati causati da “uomini” che non hanno saputo accettare un semplice no, e questo dimostra che i nostri diritti non sono ancora equi. Le panchine rosse sono un piccolo gesto per ricordare tutte le donne che sono state uccise e per riflettere sulle proprie azioni. Fortunatamente le donne adesso possono rifugiarsi nei vari Centri anti-violenze che le ascoltano e le proteggono, anche semplicemente chiamando il numero rosa (Centri antiviolenza a Roma e nel Lazio) e il numero 1522. Ho scritto questa riflessione perché vorrei sensibilizzare chi ancora non comprende l’importanza di questo tema. Sebbene oggi i social permettono una maggiore diffusione di queste tematiche, è necessario continuare a informare e educare: ne va del nostro futuro.
[Simona Papapicco]
Studentessa all’Istituto di Istruzione Superiore Adolfo Venturi di Modena

Accademia di Belle Arti di Bari
Francesca Carucci
NUOVI SGUARDI
Con questa selezione vogliamo dare visibilità alle opere realizzate da autrici ed autori che frequentano il corso di Laurea triennale di Fotografia presso l’Accademia di Belle Arti di Bari e che sono state presentate ai tavoli di lettura del Festiva della Fotografia Italiana di Bibbiena lo scorso giugno.
Ringraziamo calorosamente la Dottoressa Michela Fabbrocino, ricercatrice, autrice, fotografa, curatrice e docente di cattedra in Fotografia presso l’Accademia di Belle Arti di Bari, che ci ha regalato la possibilità di condividere i lavori presentati dai laureandi.
Istituto Comprensivo San Giovanni BOSCO di Campogalliano (MO)
Il laboratorio di fotografia svolto alla scuola media di Campogalliano è stata un’esperienza davvero coinvolgente e significativa. Attraverso l’obiettivo di una macchina fotografica ciascun ragazzo ha avuto la possibilità di esprimere qualcosa di sé, del proprio punto di vista e delle proprie emozioni. Ogni volta rimango colpita nel vedere come uno strumento semplice come la fotografia possa trasformarsi in un mezzo potente per comunicare e raccontare sé stessi.

Durante il laboratorio i ragazzi hanno lavorato con grande impegno, entusiasmo e collaborazione. Si sono messi in gioco con coraggio senza paura di sperimentare nuove idee e approcci. Il clima che si è creato è stato molto positivo, ognuno si è sentito libero di esprimersi e di contribuire al lavoro collettivo con il proprio stile e la propria sensibilità. Ci si aiutava a vicenda, si condividevano opinioni, ci si ascoltava con attenzione e si accettavano anche le critiche in modo costruttivo, con il desiderio di migliorarsi e crescere insieme.

Uno degli aspetti più belli è stato proprio vedere come il laboratorio non è stato solo un’occasione per imparare a fare belle fotografie ma è stato soprattutto un percorso umano di crescita, confronto e scambio. I ragazzi che hanno partecipato erano molto diversi tra loro: c’era chi era più creativo, chi più tecnico, chi più timido e chi più estroverso, ma ognuno ha portato qualcosa di unico e prezioso al gruppo. Questa varietà ha reso l’esperienza ancora più unica perché ci ha permesso di imparare gli uni dagli altri, di vedere il mondo da prospettive diverse e di scoprire nuovi modi di osservare la realtà. Pur partendo dallo stesso tema o compito ogni ragazzo è riuscito a interpretarlo in modo personale dando vita a scatti originali, autentici e spesso molto emozionanti.
[Beatrice Ferri]
Tirocinante presso la Casa del Volontariato
Studentessa di Digital Education, Unimore

Istituto di Istruzione Superiore Alessandro VOLTA di Sassuolo (MO)



Istituto di Istruzione Superiore Antonio MEUCCI di Carpi (MO)



Il laboratorio di fotografia che abbiamo svolto con i ragazzi del Meucci si è rivelato molto più di un semplice laboratorio. È uno spazio di libertà, un luogo in cui l’obiettivo della macchina fotografica/cellulare diventa un mezzo per esprimere ciò che a parole sarebbe difficile raccontare. La fotografia con il suo potere di catturare l’istante e di catturare emozioni sfuggenti, si trasforma in una lente d’ingrandimento per i sentimenti dei ragazzi spesso inesplorati.
Questi ragazzi, troppo spesso etichettati per i loro errori o per il loro comportamento, trovano nel laboratorio l’opportunità di raccontarsi senza paura del giudizio. Sono liberi di scegliere cosa immortalare, liberi di decidere quali immagini possano meglio rappresentare il loro stato d’animo, i loro pensieri, i loro sogni. E in questa libertà emergono storie potenti, fatte di fragilità e di forza, di dolore e di speranza, di ricerca di sé e di desiderio di essere compresi.
Le fotografie realizzate durante il laboratorio si basano sul tema del participio futuro un concetto che invita i ragazzi a riflettere su ciò che vogliono diventare, su dove desiderano dirigersi. Attraverso le immagini essi raccontano le loro aspirazioni, i loro obiettivi e le possibilità che vedono nel loro domani. Ogni scatto diventa così un modo per dare forma a speranze e desideri che spesso restano inespressi. Ed è proprio lì, in quelle immagini cariche di significato che si accende qualcosa: un frammento di speranza, un’intuizione su sé stessi, la consapevolezza di avere dentro di sé molto più di quanto il mondo abbia voluto fargli credere.
Lontano dalle aule scolastiche questi ragazzi dimostrano di poter dare il meglio di sé. Il semplice atto di spostarsi in un ambiente diverso in cui non si sentono costantemente giudicati permette loro di esprimersi con autenticità. Attraverso le fotografie emergono emozioni che altrimenti sarebbero rimaste intrappolate dentro di loro, nascoste sotto strati di rabbia, silenzio o incomprensione.
In ogni scatto c’è qualcosa di prezioso, un frammento di un racconto personale che difficilmente avrebbe trovato un altro canale di espressione. Questa esperienza non è solo utile MA necessaria. Tutto ciò dimostra che quando ai ragazzi viene data fiducia e la possibilità di esprimersi senza costrizioni, riescono a comunicare in modi sorprendenti, lasciando emergere una profondità emotiva che spesso non emerge. In ogni immagine scattata c’è un pezzo di loro.
[Beatrice Ferri]
Tirocinante presso la Casa del Volontariato
Studentessa di Digital Education, Unimore
Scuola secondario di Primo Grado Alberto PIO di Carpi (MO)



Ci sono attività che riescono a creare connessioni speciali e il laboratorio di fotografia che abbiamo svolto con i ragazzi della scuola media “Alberto Pio” di Carpi è stato proprio una di queste.
Insieme ai ragazzi abbiamo condiviso giornate piene di creatività, entusiasmo e voglia di esprimersi. Fin dal primo incontro i ragazzi si sono mostrati coinvolti, attenti e curiosi, pronti a mettersi in gioco non solo con la macchina fotografica, ma anche con le proprie idee e visioni del mondo.
La fotografia è diventata il mezzo attraverso cui raccontarsi, riflettere, osservare la realtà da punti di vista nuovi. Sono emersi pensieri profondi, sogni e domande sul futuro: tutto è stato accolto e condiviso con grande sensibilità.
Non è mancato il divertimento: si è riso, si è sperimentato con pose, inquadrature, e ci si è lasciati andare alla libertà del momento creativo.
È stato bello vedere come un’attività così “semplice” possa diventare un’occasione per conoscersi meglio, per scoprire qualcosa di nuovo su di sé e sugli altri. Spero che questa esperienza resti come un bel ricordo da portare con sé, e magari anche come un punto di partenza per continuare a guardare il mondo con occhi curiosi e creativi.
[Beatrice Ferri]
Tirocinante presso la Casa del Volontariato
Studentessa di Digital Education, Unimore
Scuola d’Infanzia ARCOBALENO di Carpi (MO)
PIÙ DI TUTTO MI RICORDO IL FUTURO



Coniugare le parole futuro e bambini è facile o almeno così sembra, perché se a questi concetti si vuole davvero dare peso e spessore per farli emergere da pensieri automatici e scontati, bisogna ragionare e approfondire in un’idea di prospettiva, letteralmente proiettata verso il domani.
Il contesto fotografico ci è sembrato e man mano è diventato quello più calzante e idoneo per rendere protagonisti i bambini plasmando il futuro in positivo.
Lo strumento della macchina fotografica digitale permette ai bambini di essere attivi e non fruitori passivi, quindi di agirlo e usarlo seguendo le loro passioni e i loro intenti, innescando così un virtuoso processo di esplorazione degli ambienti e degli altri, facendone un linguaggio vero e proprio che si è affinato nel corso di questi mesi.
La fotografia non è solo un immagine, ma un mettere lo sguardo sopra le cose, questa azione rende i bambini più consapevoli e orgogliosi dei loro prodotti ma soprattutto della loro crescente convinzione di essere protagonisti e di rendere protagonisti.
L’idea di fermare un luogo, un momento, un emozione crea un gioco di rimandi tra chi fotografa e chi guarda la fotografia che non si esaurisce mai, perché gli occhi che osservano sono sempre diversi e non sono più gli stessi dopo, creando un pluralità di prospettive.
Scuola secondaria di Primo Grado Guido FASSI di Carpi (MO)



Quest’anno alla scuola media “Guido Fassi” abbiamo svolto un laboratorio di fotografia davvero speciale. Due erano i gruppi coinvolti: uno il martedì pomeriggio e l’altro il venerdì pomeriggio.
In entrambi i casi l’atmosfera era super vivace: ragazzi e ragazze pieni di energia, di idee, di voglia di parlare, raccontare, scattare. Insomma, non ci si annoiava mai! Il laboratorio è stato un mix di tecnica, creatività e fantasia.
Il tema scelto era il participio futuro. Magari non tutti sanno cos’è ma bisogna leggerlo come qualcosa che sta per succedere. Ed è proprio da lì che siamo partiti: ognuno ha provato a immaginare e raccontare attraverso le foto qualcosa del proprio futuro, di un futuro immaginato, sognato, oppure ancora tutto da costruire.
Durante gli incontri i ragazzi hanno imparato a usare la macchina fotografica, a scegliere l’inquadratura giusta, a guardare la luce e il punto di vista. Ma soprattutto hanno imparato a guardare davvero le cose. A osservare quello che ci sta intorno in modo diverso, con occhi più attenti. E piano piano le idee hanno preso forma: c’è chi ha raccontato un sogno, chi una paura, chi un desiderio, chi una futura carriera.
Le foto che ne sono venute fuori sono state sorprendenti: alcune divertenti, altre profonde, altre ancora davvero emozionanti. Ma tutte parlavano un po’ di chi le aveva scattate. È stato bello vedere come ognuno abbia trovato il suo modo di esprimersi senza giudizi o senza giusto o sbagliato.
L’energia dei gruppi era contagiosa: ogni settimana si chiacchierava, si condividevano idee, si rideva, si commentavano le foto degli altri. C’era sempre qualcosa da dire o da raccontare.
[Beatrice Ferri]
Tirocinante presso la Casa del Volontariato
Studentessa di Digital Education, Unimore
Istituto di Istruzione Superiore PODESTI CALZECCHI ONESTI di Chiaravalle (AN)

